Le avevo disegnate uno o due
giorni prima, allora forse si spiega questa storia, perché quando disegno
instauro con “lui” un rapporto intimo, a volte anche più profondo… passeggiavo
sulla spiaggia saracena, sotto un cielo piuttosto cupo, avaro d’ombre, ma i cui
chiaro scuri lasciavano spazio ai giochi delle forme. Mi piace la spiaggia
stracolma di relitti: chissà da dove vengono? Mi chiedo sempre; e in mezzo a
tronchi con la parrucca, canneti suicidi pronti al grande falò ripulitore,
scarpe e ciabatte spaiate col solo ricordo della loro ultima impronta calcata,
cercavo qualcosa senza sapere cosa, sicuramente detriti, gli ultimi, quelli che
nessuno vuole e attendono rassegnati di condividere con i canneti la stessa sorte.
Tutti cercano forme fatte e
radici col pedigri e nessuno, se non pochi noiosi esemplari di bipedi, si
curano dei detriti da fuoco della decenza e del decoro: che noia questa storia…
beh, passeggiavo sulla spiaggia, con lo sguardo rivolto a terra, come un
cercatore di funghi, quando una voce un po’ sgarbata ha detto: Hei, ase!
Aseeee! Mi sono fermato ed ho guardato attorno: c’ero solo io (una trentina di
metri più in là c’era un canemammut con la sua padroncina, intento ad erigere
un monumentale torrione di cacca con tanto di guglia a svirgolo) e intanto,
alla prima maleducata, s’era aggiunta un’altra voce più acuta: vieni qui Ase!
Fanculo, ho detto ad alta voce e loro di rimando: stai cercando noi, somaro
dalle orecchie pelose! Istintivamente mi sono toccato le orecchie, mentre
sentivo quelle impertinenti ridacchiare come due oche; mi sono avvicinato:
sotto una riccia chioma fluente di radice nonsocosè, stavano nascoste due
tavolette di legno, una un po’ bruciacchiata nel culo e loro erano lì dentro e
mi aspettavano: finalmente tanardo di un ase, ce l’hai fatta a trovarci! Tu hai
le chiappe bruciate? Ho detto alla gazza e lei: fatti i cazzi tuoi! bel
rapporto aperto, mi sono detto.
A casa le ho liberate ed ho
dovuto fare in fretta perché non sopportavo più la loro insolenza: fai questo,
fai quello, quest’altro mettilo qui e quello incollalo là… una upupa colorata e
una nera e bella gazza.
Petulanti come galline e
rumorose come oche, ma bellissime e inseparabili. Si sono incontrate tra le
onde in tempesta, una esperienza che unisce.
Ed io le ho accontentate
suggellando quella bizzarra quanto meravigliosa amicizia, in modo che, anche
distanti, siano l’una complementare all’altra.
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